Minori stranieri ed esperienze traumatiche
Gli autori hanno discusso in modo sistematico le condizioni psicologiche di migliaia di minori non accompagnati presenti sul territorio italiano. Lo studio del funzionamento psicologico dei minori immigrati ha permesso di evidenziare in particolare tre fattori di rischio che contribuiscono in modo significativo allo sviluppo di un malfunzionamento psicologico, che talvolta può evolversi in un franco disturbo mentale. I fattori individuati dagli autori sono tre: lo sdradicamento traumatico dalla cultura di appartenenza e dalle figure di accudimento primarie. La componente traumatica di questo evento fa riferimento non solo all’eventuale trauma fisico o psicologico subito dal migrante stesso ma anche le esperienze traumatiche subite dai familiari. Il secondo fattore di rischio individuato dagli autori fa riferimento alle esperienze potenzialmente traumatiche vissute durante il viaggio verso il paese ospitante. Come terzo fattore viene invece indicato l’inserimento nel nuovo tessuto sociale e relazionale, identificato anche come fattore traumatico post-migratorio. Tutti questi fattori assumono una connotazione specifica in relazione alla fase evolutiva attraversata dal minore migrante.
Come reagiscono questi bambini?
Le esperienze traumatiche estreme o molto intense possono condurre nei bambini ad una “cristallizzazione” delle strategie difensive, sviluppando dei “modelli permanenti” di risposta attraverso i quali l’esperienza traumatica viene negata.
Questi bambini potrebbero sviluppare dei comportamenti di tipo difensivo volti a ritrattare o adattare dal punto di vista cognitivo esperienze altamente traumatiche, allontanando sempre più i vissuti emotivi dolorosi collegati all’evento.
Alcuni autori ritengono che nei bambini immigrati vittime di traumi vi sia una incapacità a verbalizzare le esperienze traumatiche, infatti questi bambini esperiscono difficoltà nel narrare in modo coerente e articolato le loro esperienze. Dal punto di vista neurobiologico, tale fenomeno può essere spiegato grazie al ruolo del cortisolo (ormone secreto nell’organismo a seguito del trauma) che agisce attivando l’amigdala e inibendo il funzionamento dell’ippocampo e dell’aerea di Broca (area adibita all’espressione verbale dei proprio pensieri e delle proprie emozioni). Tale meccanismo sembrerebbe causare la registrazione degli eventi traumatico in stati affettivi o senso-motori sottoforma di sensazioni fisiche o immagini visive piuttosto che venire tradotti nella memoria in forma dichiarabile. L’esposizione a traumi precoci può modificare le credenze che il bambino a su di sè e sul mondo, intaccando direttamente il senso di integrità personale e la capacità di costruire relazione significative intorno a sè.
Come reagiscono gli adolescenti esposti a traumi durante lo sviluppo?
L’adolescenza è un periodo critico di sviluppo individuale caratterizzato dall’accettazione dei cambiamenti corporei, dalla separazione psicologica e affettiva dalle figure parentali e dalla ricerca di nuovi punti di riferimento sociali e emotivi. Tutti questi processi contribuiscono alla costruzione dell’identità. Gli adolescenti stranieri non accompagnati affrontano queste modifiche con maggiore difficoltà in quanto lo sdradicamento dal proprio paese di origine e la conseguente separazione forzata dalle figure di accudimento ostacolano il processo di separazione “graduale”. Per questa ragione, gli adolescenti stranieri possono sviluppare una sintomatologia depressiva legata all’impossibilità di completare queste fasi di costruzione della personalità.
Fattori di resilienza e fattori protettivi
I bambini e gli adolescenti stranieri vittime di tortura possono tuttavia mostrare buone capacità di coping in risposta alle avverse condizioni in cui si trovano e sembrano agire più come “active survivors” che come “passive victims”. Alcuni autori sostengono che l’esposizione ad eventi traumatici può aver potenziato il senso di “potere” e di agentività nei bambini e adolescenti stranieri. Gli autori inoltre identificano dei fattori protettivi che possono contribuire al miglioramento del processo di integrazione, tra questi, la religiosità, intesa come appartenenza ad un credo che rappresenti un continuum tra passato e presente; inserimento di un gruppo di pari della stessa etnia; l’evitamento di momenti di solitudine.
In conclusione, le difficoltà espresse da bambini e adolescenti stranieri non accompagnati nel nostro paese sono in continuo aumento, la comunità scientifica dovrebbe assumere maggiore consapevolezza di questo fenomeno al fine di permettere identificazione precoce delle vulnerabilità e individuare un percorso riabilitativo di cura finalizzato ad evitare la cronicizzazione dei sintomi psicopatologici manifestati e a migliorare il processo di integrazione.
Letture consigliate:
Cerniglia L. e Cimino S. (2012) Minori immigrati ed esperienze traumatiche: una rassegna teorica sui fattori di rischio e di risilienza. Infanzia e Adolescenza Vol.11 (1).